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al testo proposto da Andrea Pighin
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Il problema che sta al cuore dell'arte di Schumann è quello schellinghiano del rapporto tra lo spirito, soggettivo, e la natura, esteriore, tra l'io e il tutto, tra il finito e l'infinito: il desiderio di far coincidere nell'espressione artistica la limitazione dell'io con la totalità dell'universo. La natura, subordinata da Fichte all'io nel suo egocentrismo idealistico, vista invece come un prolungamento dello spirito nell'animismo di Schelling, sembra ai romantici la chiave di questo problema angoscioso: ed è quindi un appassionato rivolgersi a lei, un interrogarla affannoso per forzarne il segreto e scoprirne l'anima e il linguaggio, un'ebbrezza d'immergervisi in cerca del desiderato dissolvimento. Sotto questo aspetto è di altissimo interesse la suite pianistica delle Waldszenen (1848-49), e in particolare il pezzo straordinario dell'Uccello profeta, magica rievocazione sonora del mito dell'uccello canoro, che all'uomo rivela in suo linguaggio i segreti della natura, della vita, dell'avvenuta fusione dell'anima con le forze naturali. In quest'opera Schumann perviene a quella straordinaria incorporeità dell'ispirazione, che è la sua soluzione al problema romantico della natura nell'arte: lo stimolo della natura reso assolutamente interiore e spiritualizzato.
M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino, 2005, pp. 226-227.
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